festival - I am spartacus!

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Mito, dal greco mythos, cioè racconto, parola. E proprio da una frase abbiamo voluto cominciare: “I am Spartacus” (“Io sono Spartacus”), pronunciata dai gladiatori vinti e destinati al supplizio nella celebre pellicola di Stanley Kubrick dedicata al leggendario schiavo tracio che proprio nell’anfiteatro dell’antica Capua (l’attuale Santa Maria Capua Vetere) diede inizio a quella che è considerata la prima rivoluzione della storia. Una frase che ha lasciato una traccia indelebile: “Io sono Spartaco” era stata la risposta dei compagni dell’eroe alla domanda dell’ufficiale romano che voleva identificarlo (lui si era consegnato per primo per cercare di salvare i suoi amici). Una frase che li trasforma tutti in eroi: pronti a morire per il loro comandante, per il loro sogno di libertà, per andare sino in fondo. Partecipazione, fratellanza, comunanza, spirito di corpo, solidarietà, fiducia, coraggio: la violenza non li avrebbe divisi. Duemila anni dopo una scritta ha riecheggiato quei sentimenti: “Je suis Charlie”. Corsi e ricorsi. Gli uomini cambiano (un po’) la storia meno (Vico docet), ma le vicende che diventano simboliche si trasformano in fondamentali coordinate per la navigazione interiore dell’umanità, oggi come ieri.



Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi”, fece dire Bertold Brecht - nella “Vita di Galileo” - al grande scienziato (uno dei padri della modernità) dopo l’umiliante abiura di fronte al Tribunale dell’Inquisizione, in risposta al suo interlocutore, il quale, in preda alla delusione, aveva detto “Sventurata la terra che non produce eroi” . Geniale quanto triste rivelazione sulla misera condizione delle terre che “hanno bisogno di eroi” a causa della mediocrità morale del conformismo di massa e del pavido e miope egocentrismo spesso nascosto dietro la facciata delle dichiarazioni d’intenti.
L’idea di una mobilitazione culturale - sotto forma di una rassegna di letteratura ma non solo - nasce da lì, dalla consapevolezza che quella frase, una denuncia e un appello allo stesso tempo, possa e debba essere usata per riprendere il filo di un discorso interrotto. Per provare a ritrovare la memoria perduta. Magari quella degli elefanti di Annibale, un altro glorioso condottiero che nell’antica Capua trovò le ragioni di una pausa di riflessione che storici frettolosi (o filo romani) hanno voluto banalizzare con superficialità.La memoria di tutto quello che è stato sepolto dalla sabbia dell’egoismo affaristico e speculativo, la memoria di quello che si nasconde sotto lo strato delle cose facili e dei ricordi dell’effimero e dell’inconsistente, la memoria della narrazione del passato, cioè le fondamenta di ogni futuro possibile. Perché, al di là di ogni inevitabile rischio di retorica, gli eroi dovrebbero sempre costituire un perenne esame di coscienza e continuare a esercitare il loro ruolo nel sentimento dei popoli e nell’immaginario collettivo. Qui più che altrove. Oggi più che mai.
Questa l’idea-progetto, il resto lo faranno gli amici che hanno già aderito e quelli che aderiranno, nel segno della parola scritta e parlata - romanzi, racconti, saggi, performance, reading - ma anche della musica e dell’arte. 
Una settimana di appuntamenti culturali senza confini per far riecheggiare la frase “I’am Spartacus” dalla sua arena al resto della Campania e del mondo.Anche per questo quel leggendario “I am spartacus” oggi suona come il gesto ultimo, estremo, per recuperare valori smarriti, per ritrovare la forza di tenere la schiena dritta anche (soprattutto) tra le macerie. Una frase che rimbomba nella dolente terra dove è nato il mito di Spartacus, quella Campania Felix (fertile) oggi avvelenata da immondizie umane (i mafiosi e i loro complici) e materiali (roghi e diossine che avvelenano i cibi dei nostri figli). Una frase che riecheggia come archetipo del tempo mitico (che, in quanto tale, è eternamente presente), arcaica immagine del mito che, come ebbe a ricordare Bronislaw Malinowski, resta “un ingrediente vitale della civiltà umana”.
Boicottato e considerato socialmente pericoloso (lo sceneggiatore americano Dalton Trumbo fu costretto a scrivere sotto falso nome perché finito nel mirino della commissione McCarthy come presunto comunista), il film di Kubrick - che aveva un ispirato Kirk Douglas nei panni del leggendario condottiero - come è noto uscì dal cono d’ombra solo quando l’allora presidente Usa, John Fitzgerald Kennedy, si recò a vederlo e manifestò pubblicamente il suo apprezzamento.
 
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